Dolore salvifico

 


19 Febbraio 1976.

Figli diletti, eccomi qui con voi a supplicare il Padre. Sono il vostro Gesù, Figlio di Dio e di Maria. Voglio chiedervi un favore che non mi potete negare. Noi santifichiamo questo luogo con la nostra presenza. È infatti presente qui con me la mia dolcissima Madre, con il fedele e giusto padre putativo S. Giuseppe. Io perciò vi prego di mantenere quel contegno che si addice alla nostra presenza. Evitate le parole inutili; se è necessario, parlate sottovoce e soprattutto pregate e pregate bene.

Ascoltate i divini insegnamenti come se venissero a voi direttamente dalla nostra bocca. Riceveteli con fede e con desiderio di tradurli in una vita veramente cristiana.

Le grazie che voi chiedete mirino soprattutto a convertire voi e i vostri cari, poiché questa è la cosa più importante della vostra vita. Migliorate giornalmente un po', fino a divenire perfetti: ecco quale deve essere il vostro desiderio.

Siccome poi non potete essere santi se non seguendo le mie orme, dovete chiedere di saper portare la croce, di accettare il dolore. Io stesso fui tentato di rifiutare la croce.

Parlando coi miei dodici che amavo tenerissimamente, volli ricordare le sofferenze a cui sarei andato incontro: la mia passione e la crocifissione e la morte e la risurrezione dopo tre giorni. Pietro, che poco prima mi aveva dato una testimonianza di fede chiamandomi "il Cristo, il Figlio del Dio vivente", non volle sentir parlare di dolore e mi sconsigliò di accettarlo. Io lo chiamai "Satana" e lo pregai di allontanarsi da me, anzi, glielo imposi come un comando.

Ecco, figli, come vi dovete comportare quando la disperazione, la ribellione e l'abbattimento vorrebbero farvi rifiutare la sofferenza. È una tentazione diabolica a cui voi dovete reagire con la stessa mia forza. 'Va' lontano, Satana", poiché, se il dolore è contrario alla natura umana che male lo sopporta, può divenire un mezzo potente di salvezza e di santità.

Quando parlo di dolore, intendo tutto ciò che turba e che porta sofferenza fisica, morale e spirituale. E non intendo soltanto ciò che viene dall'esterno o da altre persone, ma anche quelle sofferenze che possono essere causate dal proprio carattere o da sbagli commessi per debolezza o incapacità, che possono avere una conseguenza personale disastrosa.

Tutto può essere trasformato e tutto può divenire accetto a Dio.

Quando un difetto da voi combattuto si ripete e, nonostante gli sforzi, vi ricadete, la sofferenza che esso vi provoca è oltremodo gradita al mio cuore, poiché con essa mi esprimete il vostro desiderio di combatterlo. Quando le piccole mancanze giornaliere vi sono causa di tanta pena, perché notate le vostre indelicatezze verso di me, io le cancello immediatamente e le trasformo nella virtù dell'umiltà, che rende sempre più delicate le vostre coscienze. Quando, nonostante le molte grazie ricevute e i richiami avuti, le anime da me redente si ostinano nella colpa e non sanno dire di no a certi affetti non puri e non sanno rompere certi legami, io soffro per esse e la loro sofferenza, che è un rimorso, diventa una voce. Questa è sofferenza inutile, poiché l'anima in peccato nulla può guadagnare per la vita eterna. Io richiamo e rendo difficile l'esistenza, perché si rendano, i miei figli, capaci di credere che non si devono appoggiare a creature umane, fragili, deboli e peccaminose come loro, ma che devono ritornare a me.

Così il dolore diventa utile e serve a spezzare le catene, a sconvolgere le coscienze ed a risistemare l'ordine.

Quando il dolore è rimpianto per qualche bene perduto, è ugualmente valido, poiché le delusioni e i distacchi devono servire a far comprendere i veri valori, quelli che il tempo non muta ma consolida.

Quando, nelle famiglie, una mamma o un padre soffrono perché un figlio ha deviato o si è lasciato prendere da false ideologie o da cattive compagnie o rifiuta la fede e si ribella ai loro desideri di bontà e di pace, questo dolore, offerto con amore, diventa una leva potente che serve a far crescere in santità i genitori ed a ottenere le conversioni desiderate.

Così, quando in certe comunità religiose c'è come un capro espiatorio su cui si riversano i rimproveri e le responsabilità, il dolore di quest'anima, offerto e accettato, è un mezzo che salvaguarda la comunità intera da molti guai, proprio come il parafulmine che attira sopra di sé le scariche elettriche per seppellirle nel terreno.

Questo avviene anche nelle parrocchie, dove il parroco si fa mallevadore della sua famiglia spirituale e i suoi dolori hanno potenza di salvezza per quelle anime che gli sono affidate e che solo col dolore potranno essere portate a Dio, portate a me.

Ogni dolore ha senso se la grazia che dimora nell'anima permette di unire la sofferenza dell'uomo a quella dell'Uomo Dio e di essere in tal modo valorizzata.

Quanto è da compiangere perciò il soffrire di chi non crede, poiché la sofferenza sarà disperazione. Quanto insopportabile sarà la fatica e il dolore di chi vive in peccato mortale, poiché, non avendo il sostegno della grazia, non può né piacere a Dio né dare gioia. Il dolore per un cristiano vero è invece come luce che fa intravedere il premio, è come una scialuppa di salvataggio che il navigante getta in mare per salvare i naufraghi della vita.

Chi ama il dolore non ne sente il peso e dalla croce stessa si sente portato verso le altezze. Ben dicevano alcuni santi che il giorno in cui ad essi mancava la sofferenza era un giorno senza sole.

Io scelgo come miei amici le anime generose, che del dolore non si lamentano e che sanno adoperarlo come rete per raccogliere tutti coloro che senza aiuto affogherebbero e si perderebbero.

Arrivederci.

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